Durante queste ferie estive, godendomi i paesaggi trentini (e non solo), mi sono imbattuta in un nostro antenato, tanto studiato ed anche tanto amato: la Mummia del Similaun, meglio conosciuta come “Ötzi”.
Nel 1991 una coppia di escursionisti tedeschi, sulle Alpi Venoste, fra Italia ed Austria, fece una scoperta eccezionale: trovò la mummia naturale di un uomo, ancora integra in tutte le sue parti, grazie al ghiaccio che l’ha protetto da intemperie e dall’inevitabile decomposizione.
Le ipotesi sull’identità della vittima furono tante, andando indietro addirittura di 1000 anni, finchè nel 2008, attraverso un’analisi al radiocarbonio, fu possibile attribuirgli la data di nascita: quell’uomo, così ben conservato, era in realtà un uomo dell’Età del rame, nato e vissuto fra il 3300 ed il 3100 a.C.
Iniziarono così numerosi studi per poterne conoscere i più intimi segreti.
Ötzi, nome che gli è stato conferito da un giornalista che ha seguito da vicino tutta la sua affascinante storia, era un uomo dalla carnagione chiara, morto intorno ai quarant’anni in seguito alla ferita di una freccia scagliata alle spalle. Indossava al momento della morte un cappello di orso ed un mantello di capra e pecora, aveva tutte le attrezzature necessarie alla caccia ed aveva numerosi tatuaggi su diverse parti del corpo.
Nel 2012 si è riusciti addirittura a sequenziarne tutto il suo DNA, che ha rivelato il gruppo sanguigno (0) e una predisposizione genetica alle malattie cardiovascolari. Infatti lo scheletro presentava ben tre calcificazioni coronariche, spie di un’aterosclerosi quasi certamente legata alla predisposizione genetica. Probabilmente se non fosse stato colpito da quella freccia, sarebbe morto d’infarto non molto tempo dopo.
Nel suo stomaco è stata rinvenuta la presenza di Helicobacter Pylori, patogeno conosciuto per essere una delle cause principali di ulcere e gastriti, mentre nell’intestino sono stati trovati piccoli parassiti che avrebbero potuto rallentare o comunque rendere più complicato il processo digestivo.
Altra scoperta straordinaria è stata quella del gruppo di studio del dott. Frank Maixner, e riguarda il contenuto dello stomaco di Ötzi, resosi evidente dalle radiografie solo nel 2009, e del suo ultimo pasto: carne di stambecco, farro monococco e felce aquilina. La carne era stata essiccata ed affumicata leggermente (simile quindi ad un nostro speck), il farro era stato invece consumato non macinato, mentre sulla felce ci sono diverse ipotesi dal momento che è una pianta molto tossica (da qui l’idea che possa essere stata consumata come rimedio ai parassiti oppure che ne siano rimaste tracce dal momento che potevano essere utilizzate le foglie per incartare il cibo).
Come ha affermato Albert Zink, direttore di Eurac Research di Bolzaano “l’ultimo pasto dell’Iceman conteneva un’elevata quantità di carboidrati, proteine e grassi, perfettamente bilanciati per le sfide poste dagli ambienti di alta montagna” ed adatta allo stile di vita di Ötzi. Si pensa inoltre che sia stato consumato in un intervallo di tempo che va da due ore a mezz’ora prima della morte e che l’avesse consumata sentendosi al riparo.
Ad oggi sono anche stati avviati degli studi per poter capire se potesse essere intollerante al Lattosio.
Vi consiglio vivamente di andare a visitare il Museo di Ötzi di Bolzano, perché vi permette di fare un tuffo nel passato e di conoscere i segreti di un antenato di tutti noi.